Il Tetto

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Il viaggio di Kidane

C’è il silenzio che circonda un tempo della vita di Kidane. E’ il silenzio che lui ha voluto far calare sulla sua esperienza di detenzione in un centro libico. Di quel tempo trascorso lì non vuole raccontare nulla, è forse troppo ancora, forse lo sarà per sempre. Ci sono invece i fatti che precedono quel buio glaciale e che fanno della storia di Kidane un esempio di resilienza estrema e inarrestabile. Non sembra troppo lontano il 2004, il suo anno di nascita, dal momento in cui cominciano le peripezie che marchiano sulla sua pelle lo stemma di migrante che ancora si porta addosso. Un viaggio infinito, che lo blocca in Italia a causa di quella burocrazia che supera la vita e la realtà, che ha avuto inizio troppo presto quando, piccolissimo, lascia la sua terra insieme alla famiglia che, per ragioni economiche, è costretta a spostarsi in Sudan.

Restano lì la mamma, il padre e le sorelle più piccole ma lui ancora bambino viene rimandato, in Eritrea, dai nonni che gli permettono di andare a scuola e imparare l’inglese. Il clima del Paese non è però sereno, Kidane ha soli 9 anni e ha paura del servizio militare obbligatorio che lo attende da lì a pochi anni. Prova a scappare ma viene incarcerato, picchiato e maltrattato come raccontano le cicatrici sul suo viso. E’ il nonno a pagare la polizia per farlo evadere dal carcere, aprendo così la sua storia di fuga che lo porterà prima in Etiopia, in un campo profughi dove lavora e studia per due anni, poi in Sudan e in Libia. Sempre grazie ai soldi racimolati con il lavoro e con gli aiuti della famiglia che finiscono direttamente nelle mani dei trafficanti. L’ennesima odissea che arricchisce i criminali e umilia gli ultimi.

È finalmente il 2017, Kidane dopo un viaggio in mare su una barca colma di disperati coraggiosi tocca la Sicilia dove viene accolto, dove trova qualcuno che di nuovo si prende cura di lui. Ma l’Italia non è una meta per lui. Fugge ancora da quella terra di Sicilia per arrivare a Roma da cui vuole partire per raggiungere quanto prima la Germania: lì lo aspetta sua zia che lo ha sempre supportato nei viaggi con aiuti economici e garanzie. Finalmente appare una speranza, quella della protezione internazionale e del ricongiungimento familiare. Ma i tempi e le regole della burocrazia non sono quelli della vita: per il governo tedesco la zia non può dare abbastanza garanzie, non può farsi carico di un ragazzo e a distanza di oltre un anno arriva l’ennesima delusione. L’Europa, la terra dei diritti dopo averlo lasciato per oltre un anno in attesa di risposte che dovevano arrivare in tempi molto più brevi, chiude le porte alle speranze di futuro di un ragazzo di 14 anni. Proprio come avevano fatto in passato le ritorsioni e le minacce dei trafficanti, oggi sono le regole e le falle di un sistema a bloccare Kidane.

Per fortuna non è più solo. In casa, al Tetto, c’è chi ha deciso di essere famiglia per lui. Magari per un breve tratto di strada o forse per un tempo più lungo. Per ora non possiamo saperlo. In ogni caso Kidane non si arrende. Si è iscritto al terzo anno di scuola media in Italia, dopo l’inglese e l’arabo ha aggiunto l’italiano alla lista delle lingue conosciute. Nell’attesa che la sua situazione legale venga dipanata, lui continua a vivere. Studia, gioca a calcio e non si fa mancare gli amici al parco.